Le Gole del Melfa e il Monte Cairo
Racchiuse in uno scenario naturalistico fra i più belli della penisola nel comprensorio della XV Comunità Montana della Valle del Liri, sono situate le superbe Gole del Melfa e il massiccio del Monte Cairo. Le gole, formate da rocce calcaree sedimentatesi nel corso delle varie ere geologiche, sono irrorate dalle limpide acque del fiume Melfa, che sgorga in Val Canneto, contrafforte del massiccio del monte Meta, in pieni territori del Parco Nazionale Abruzzo, Lazio e Molise. Luogo di culto e di suggestiva sacralità di natura, la Val Canneto, prima dell’avvento cristiano, fu interessata al culto della Dea Melfi: posta a protezione delle acque, dei boschi e dalle esalazioni venefiche naturali della terra, da cui il termine mefitico. Nella parte a monte, il fiume, attraversa diversi paesi lungo la piana cominese. Casalattico che deve la sua denominazione all’illustre cittadino, ateniese Tito Pomponio Attico, amico fraterno e cognato di Cicerone, il quale rapito dalla spettacolarità del luogo, edificò una villa e una strada nella soprastante frazione di Montattico di cui si conservano ancora oggi i due toponimi e i resti di una pietra scritta a futura memoria da parte di un libero di Caio Ppmponio, oltre al ponte romano sul melfa.
Casalvieri, Domus Olivieri, borgo caratteristico, posto all’inizio delle gole, presenta pregevoli manufatti fra cui il palazzo Fanelli. Si immette poi, nelle gole, in un percorso curvilineo di circa 12Km., affluiscono piccoli torrenti stagionali dai pendii scoscesi delle Tomelle la Pietraia , Vallecontieri dando forma a piscine naturali e rivoli multiformi dal fascino intenso. Erosioni nella roccia creano vere forme scultoree, le marmette dei giganti, pietre levigate e modellate dal vento, il cui unico regista è il binomio acqua e tempo.
Lungo il suo corso il Melfa dà vita ad una fauna che va dalla tipica dei corsi d’acqua dolce a quella del torrente di montagna, alla lacustre migratoria. Acque a tratti stagnanti o torrentizie fredde e gelide che scrosciano, dirompono, mormorano, ammantano di poesia l’ambiente nel silenzio dei suoni naturali. Colori cristallini delle acque che variano, a seconda della cromia del cielo, dal verde smeraldo, all’azzurro cupo marino con una varietà di toni intermedi e irripetibili, perché cangianti al mutare del tempo e dell’ora, una tavolozza variegata che spazia dal fucsia dei tacemi di siliquastro, al crema avorio dei fiori dell’orniello.Un sentiero tortuoso e panoramico, denominato Tracciolino, mette in comunicazione da tempi immemorabili, la Valle di Comino con l’ager aquinate. Al suo approdo, tra Roccasecca e Santopadre, il fiume Melfa già emunto lungo il suo corso, da inghiottitoi naturali, dovuti a fenomeni carsici frequenti in questa tratta di Appennino, si disperde nella piana d’Aquino.
Ciò lo rende abbondante nel periodo invernale, quanto prisciugato nella stagione estiva, contribuendo al fascino di fiume a tratti sotterraneo sposato al territorio con la ciclicità di una clessidra naturale.La fisiologia carsica sopravvive più a sud, nei pressi di Castrocielo, in località Capo d’Acqua dove la caratteristica Chiesetta dei Sette Dolori, si specchia in uno stagno naturale alimentato dai meandri della montagna grazie a questo fenomeno di osmosi idrica quasi di respiro acquatico, sistole diastole del principio del mondo.Su questi declivi fioriscono paesi incantevoli, incastonati da secoli, in questa splendita cornice montana. Arpino, sue prime notizie risalgono a Livio, dopo il trattato di spartizione del 354 a.c. fra i Romani e i Sanniti. Annovera illustri personaggi oltre a Marco Tullio Cicerone: Caio Furio Visellio, giurista, amico di Crasso, Marco Gratidio, prefetto in Cicilia e protetto di Mrco Antonio, Caio Mario il grande condottiero. Castrum Foroli, l’odierna Santopadre, risalente al VI sec. a.C., presenta mirabili reperti d’epoca romana, fra cui i probabili resti della villa del grande poeta satirico GAIOVENALE, sita nei pressi di Monte Campea, in località San Pietro.
Decimo Giunio Giovenale, scriveva nel 60 a.C.: “… appena fuori da quel pandemonio che è Roma, che pace lungo la Via Latina e nella Valle de Liri. Là si può comprare casa, per quanto a Roma si compra una soffitta. Là puoi avere un orto con un pozzo e un pò di pecore. Là padrone di una zolla di terra, ti senti un uomo”.
Roccasecca, il borgo che diede i natali a San Tommaso d’Aquino si adagia nel primo abbrivio del Monte Asprano, ricca di resti archeologici. La precede a nord Rocca d’Arce e Arce l’antica (Arx). Cicerone, in due epistole, una dedicata al fratello Quinto, l’altra all’amico Tito Pomponio Attico cita il territorio del monte Arcan, “Arcanum” e di una villa omonima, edificata in questo territorio. Una presenza storica importante che fa il paio sempre nel territorio di Arx con Fregellae, colonia latina fondata dai Romani nell’anno 328 a.C.. La copertura boschiva di questo tratto montano si richiama in parte al clima mediterraneo, con docili leccete che abbondano nel versante eridionale delle Gole del Melfa, le quali insieme al Monte Cairo, Monte Obachelle e Pizzo di Murro Marro costituiscono ad un tempo le propaggini inerne che entrano in contatto con il vivace e più aspro clima appenninico.
IL MONTE CAIRO
Il Monte Cairo domina maestoso, dall’alto dei suoi 1.700 metri le Valli del Liri, del Garigliano e del Rapido. Gran parte della sua superficie è rivestita di vegetazione, restano scoperti solo i versanti più battuti dai venti provenienti dal mare, ampliamente visibile in giornate appena terse. Appartiene al gruppo geologico del monte Meta e delle Mainarde, sebbene abbia una propria personalità orografica. I Romani chiamavano questo monte Mons Clarus, chiaro, forse per significare, con tale connotazione, la sua particolare esposizione e facile identificazione alla vista. Durante il Medioevo assunse la denominazione di Carea.
Nel massiccio, non mancano boschi frammisti a faggio e carpino. Raggiungendo la vetta, grazie a percorsi segnalati, è possibile ammirare uno scenario che spazia dalle montagne del Parco Nazionale Abruzzo, Lazio e Molise, all’Abbazia di Montecassino, alla Valle del Liri sino ad Arce s Santopadre e alla Valle di Comino fino a lambire di nuovo le pendici con Colle San Magno e Terelle. La vegetazione costituisce l’habitat ideale delle essenze botaniche dell’Appennino centrale. Si rinvengono diversi esemplari di Orchidee, Ofridi, Zafferano profumato, Coridalis biancogialla e rare specie della flora minore centro-meridionale.
Lungo i ripidi e scoscesi fianchi delle prospicenti gole del Melfa si possono osservare nelle loro evoluzioni, diverse specie di uccelli: il Corvo Imperiale, il Gheppio, il Falco Pellegrino, la Poiana, il Biancone, definito da molti ornitologi il rapace più bello d’Europa. Occssionalmente si ammira anche l’Aquila Reale durante le sue escursioni predatorie alla ricerca di cibo, proveniente dai vicini monti del comprensorio appenninico. Nella propagine nord del massiccio del Monte Cairo, è situato l’abitato di
Colle San Mgno a 540 metri slm. La sua più remota origine è Castro Cielo in Asprano. Nell’VIII secolo dopo Cristo, quando i Longobardi distrussero Aquinum, alcune famiglie ripararono sulle alture a nord del Monte Asprano, dove eressero un castello che agli inizi dell’anno Mille raggiungeva le dimensioni di una Civitas, alle dipendenze dei conti di Aquino.
Le difficoltà per l’approvvigionamento dell’acqua e la distanza dalle terre da lavorare, nella valle a meridione, costrinsero i contadini a spostarsi prima a Cantalupo ed infine più a nord, ove eressero la Torre e l’insediamento ebbe la denominazione di Colle Magno. Oltre al Santo, è molto viva nella tradizione popolare, la figura dell’eremita buono, nato a Cantalupo, è ricordato per aver predetto alla contessa Teodora, moglie del conte Landolfo d’Aquino, che avevano allora dimora nel Castello di Roccasecca, la nascita di un figlio, di nome Tommaso, che sarebbe divenuto santo e famoso. Sul versante nord orientale del monte Cairo, sorge il paese di Terelle e il suo monumentale castagneto, che si estende per circa 70 ettari, nella sottostante conca con più di duemila piante che lo rendono unico nel panorama nazionale. Il castagno più grande ha una circonferenza di 12 metri e il più anziano ha circa 800 anni. Oltre alla meraviglia dello spettacolo il castagneto di Terelle costituisce un felice connubio tra conservazione naturale, fonte economica e di sostentamento.
Al di sopra del paese la montagna, è quasi ricoperta dalla selva, una splendida e ubertosa faggeta. Nei dintorni dei paesi, un pò ovunque, si rinvengono le “caselle” tipiche abitazioni dei pastori. Le attività rurali, qui, non sono state abbandonate, come altrove e, all’occhio attento del visitatore non sfuggono scene agresti che spaziano, dal lavoro nei campi, alla pastorizzia montana, con prodotti tipici caseari. Una rara perla di antica etnia che rende questa porzione di territorio, una peculiarità unica ed inconfondibile; che ha saputo mantenere vivi nella memoria e nei toponimi locali, aspetti storico, culturali e paesaggistici.
Un patrimonio storico, etnico e naturalistico di alto interesse conservazionistico, che va difeso consci che le bellezze di questo territorio debbano essere opportunamente salvaguardate per il beneficio nostro e delle future generazioni.
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